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In Sicilia il turismo è povertà

21/09/2024 di Mattia Carramusa

Il turismo è povertà. C’è poco altro da aggiungere. A testimoniarlo è la mia regione.

La Sicilia sta sopravvivendo di turismo e si sta vocando sempre più al turismo perché incapace di una programmazione economica e industriale seria.

Questo processo, iniziato sotto lo scorso governo regionale, sta continuando ancora oggi. Meno industria, meno lavoro, ma più turismo.

I dati sono sempre rivelatori. I dati non mentono. E i dati ci dicono che la Sicilia ha visto negli ultimi anni precipitare la bilancia commerciale, che ha oggi un saldo negativo di 7,5 miliardi. In termini semplici, importa molto più di quanto produce ed esporta. Importa prodotti per 21,5 miliardi ed esporta per 14 miliardi.

I dati ci dicono che dove c’è turismo aumenta il costo della vita, il precariato e la povertà. In questo la Sicilia è esempio lampante: è cresciuto il mercato turistico, è aumentata l’inflazione ed è diminuito il reddito reale medio. Chi ha un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato – il 5% appena della popolazione – tra pubblico e privato, ha un reddito medio pro capite più basso rispetto al resto d’Italia di oltre 6.000 euro annui. Chi non ha questa “fortuna”, che fortuna non dovrebbe essere, ha redditi molto più bassi: si va dai 500 ai 1300 euro al mese.   

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I dati ci dicono che il costo della vita, dove c’è turismo, cresce in maniera vertiginosa: è il caso di molte città in cui il costo della vita è quasi raddoppiato, mentre i salari crollano. In Sicilia, il turismo sta generando un serio problema di lavoro povero (e poverissimo) e soprattutto instabile. Lavoratori del settore alberghiero, della ristorazione, dell’arte, oltre agli stagionali, sono pagati poco, male, in ritardo, spesso anche a nero.

Il turismo è un’industria che accresce i grandi capitali accentrati, sottraendoli a terzi soggetti senza generare un valore aggiunto in termini produttivi. Il turismo prospera dove si fanno politiche antindustriali: dove si smantellano le industrie presenti, dove non si investe nella logistica, dove non si opera per permettere lo sviluppo di realtà economiche articolate. Non è un caso che le regioni che puntano sul turismo non abbiano uno sviluppo industriale serio e vivano di micro-imprenditoria, economia dei baretti e basta.

Tutto questo porta al precariato, alla povertà, alla difficoltà di sopravvivenza. Per questo in Sicilia prosperano le mafie, le attività economiche “apri e chiudi” e l’alternativa per noi siciliani, soprattutto giovani ma non solo, è tra sfruttamento, assistenzialismo ed emigrazione.

Certo, è bello vedere carovane di turisti tedeschi, cinesi, statunitensi e chi più ne ha più ne metta in giro per le bellezze della trinacria. Ma che ce ne facciamo del turismo se poi due siciliani su tre non arrivano a metà mese? Che ce ne facciamo del bel turismo se poi molti paesi vivono due mesi l’anno e i restanti dieci vengono dimenticati da tutti, pure da Gesù Cristo e Poste Italiane? Sono così belli i turisti se poi per lavorare, per giunta poco e malpagato, devi avere, per dirla con Vecchioni, la lingua sporca?

E smettiamola con lo spauracchio degli immigrati, per Dio! Lo sfruttamento loro nei campi, da parte di caporali, mafie e agricoltori non è visto solo da chi ha le fette di prosciutto agli occhi!

Il turismo cresce, il precariato aumenta, i salari reali e la ricchezza diminuiscono in barba a quanto dice il governo, aumentano le condizioni di disagio, stress, depressione e alienazione, aumenta il consumo di droghe in maniera vertiginosa (e non parliamo di popper, di innocenti canne o altre robette da oratorio, meno dannose di vini e sigarette, ma di eroina, cocaina, crack, fentanyl, il cui abuso sta diventando una epidemia). La gente non riesce più a pagare gli affitti e vivere, sempre in meno possono permettersi una casa di proprietà (tornata ad essere un vero e proprio lusso!).

Come Sicilia viviamo un’allucinazione collettiva: siamo diventati un popolo di alienati. Anzi, delle vere e proprie rane bollite. Chi pensa che il turismo sia l’oro della Sicilia sbaglia, e di tanto anche!

Ribelliamoci alla logica pauperista dell’economia dei baretti e del turismo. Non possiamo rimanere ancorati a un sistema economico arretrato, disaggregato e con pezzi di economia, regolare e sommersa, in mano alla mafia. Il tutto condito da enti locali che non consentono investimenti sui territori e che non hanno regolarizzato la posizione su stabilizzazioni, assunzioni e concorsi rispetto agli impegni assunti (meno del 10% delle necessità d’organico sono state regolarizzate, malgrado fondi già stanziati)!

Abbiamo bisogno di una seria politica industriale che ci faccia fuggire il baratro del turismo, che distribuisce povertà mentre accentra nelle mani di pochissimi le ricchezze. Serve un piano di programmazione economica industriale. Aumento delle concessioni industriali, politiche che rendano agevole e conveniente assumere regolarmente e con salari competitivi, programma di investimenti nella logistica, politiche che rendano vantaggioso per le realtà economiche (anche agroalimentari) espandersi e costituirsi in gruppi cooperativi invece di rimanere micro e piccole imprese.

Il mercato italiano rispetto al mercato europeo è un banco di sardine in un mare di squali. Quello siciliano è plancton! Svegliamoci: salviamoci dal turismo!