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Mediterranea, la città del futuro. La visione di Bettino Craxi

20/04/2024 di Enrico Giuliano

 

Bettino Craxi sognava una città : si sarebbe dovuta chiamare “Mediterranea”.

Sarebbe stata una città, realmente progettata da un sogno e Bettino aveva visioni che anche oggi, a decenni di distanza, sarebbero definite future. 

Una città che ne conglobava due, fatta da due città, capoluoghi  provincia, di due diverse regioni; una città non con un ponte su un fiume, ma con un ponte sul mare, con un ponte sullo stretto. Un ponte vivo e vissuto, con attrazioni ed attività commerciali, spazi di cultura e di gioco, con una pista ciclabile ed una per passeggiare. Una città simbolo di innovazione, di unità, di integrazione, di bellezze, arte, turismo, di italianità e per ultimo, di benessere e produttività. 

Il progetto avrebbe dovuto essere nodale per quello che allora era “il corridoio Palermo-Francoforte” e che nel frattempo è diventato “il corridoio Palermo Helsinky”. Un progetto dunque comunitario, di viabilità, ma soprattutto di scambio commerciale. In termini attuali: una nave porta container master (quelle capaci di trasportare oltre 20'000 container), costa più di un milione di dollari al giorno. Dalla dell’estremo oriente -la tratta principale per queste navi- l’approdo in Europa, oggi è ad Anversa e da lì, dopo le attività di manipolazione, sub-lavorazione e logistica (a proposito dell’esplosione del PIL del Belgio), partono via treno, o ruota, verso le destinazioni finali, tra cui il sud Italia e la nostra Sicilia e viceversa. Giungere, per esempio, da Hong Kong ad un porto del sud Mediterraneo, significherebbe risparmiare circa 10 giorni di navigazione, quindi più di dieci milioni di dollari per viaggio. Certo, ci vorrebbe -nel sud Mediterraneo- un porto naturale che consentirebbe l’attracco di un bastimento con un pescaggio top over; senza carte geografiche e studi oceanografici, la risposta l’abbiamo dal 1943 e la prova pratica, esattamente dal 10 luglio 1943, quando le navi da guerra della settima armata statunitense e dell’ottava britannica, con un pescaggio di 12 metri -pari a quello delle più moderne porta container gold- senza difficoltà attraccarono nel porto naturale di Augusta.

Craxi pensava già allora, a cosa sarebbe stato il flusso merci di oggi. Craxi immaginava cosa avrebbe potuto essere la Sicilia, ragione -questa- per la quale nella sua visione, avrebbe dovuto essere un porto franco. Grandi navi che portano merci dall’oriente all’occidente e vice-versa, facendo base principale ad Augusta ed in quell’intorno regionale, tutte le lavorazioni, le trasformazioni, le attività di logistica e di smistamento e poi il ponte, che avrebbe garantito il trasporto rapido, via rotaia, verso il centro e nord Europa e via nave, verso le coste africane ed anche in questo caso, viceversa. A cascata -ovviamente- si sarebbero dovute realizzare tutte le sub infrastrutture di corollario e consequenziali, quali le reti viarie, le alte velocità ferroviarie ed i porti di collegamento.

Numeri impressionanti, in ordine all’incremento industriale, manifatturiero, logistico, portuale, commerciale e turistico. Il problema sarebbe stato dovuto alla mancanza di mano d’opera; la Sicilia avrebbe raggiunto presto la piena occupazione ed avrebbe avuto bisogno di importare mano d’opera.  Craxi, consigliere ONU per lo sviluppo, per la pace e per la sicurezza (“sviluppo può esserci, in condizioni di pace e di sicurezza”) sapeva che: “negli anni a venire, le popolazioni africane e mediorientali, se non si porrà freno allo sfruttamento ed alle dittature, saranno costrette ad una migrazione di dimensioni storiche, verso l’Europa, che dovrà per tanto, fin da adesso, prepararsi ad accoglierle”.

Queste sono le ragioni del ponte, del nostro ponte, del ponte sognato da Craxi, campato su una visone e pensato per il futuro. Poi c’è quello di Salvini, campato sulla spesa e pensato per il passato. 

 

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